È quanto riferisce la Teoria della ghianda, avanzata dal celebre psicoanalista James Hillman, che si basa sull’idea che ognuno di noi, fin da bambino, porta dentro di sé l’immagine di quello che è destinato a diventare in futuro.
Teoria decisionista, invece, è quella che parla dell’orientamento del proprio destino. Appunto azioni messe in campo da ognuno di noi che possono modificare radicalmente il nostro futuro, che possono indirizzare l’andamento rispetto alle scelte che, tempo per tempo, facciamo.
Secondo gli antichi greci, invece, esisteva il “tyche” ossia il caso.
Qualcosa di imponderabile, inaspettato e imprevedibile, diverso dal destino che, invece, non è casuale.
Insomma, in molti negli anni hanno provato a discorrere sul proprio futuro, immaginando come sarebbe stato e pensando a quanto l’impronta dell’uomo e del caso potesse in qualche modo cambiarlo. Tutti noi, fin da piccoli, abbiamo provato ad immaginare il futuro, abbiamo inseguito un sogno e senza sapere quanto potesse essere utile, abbiamo perseguito una causa.
Molto spesso, però, esiste il tyche, ossia eventi esterni che condizionano la nostra esistenza, che modificano sostanzialmente le nostre vite e che cambiano quindi, il nostro futuro.
La domanda viene quasi spontanea: quale sarà il destino della nostra categoria? Negli ultimi anni il settore del credito sembra avere un futuro incerto. Le continue ristrutturazioni e i piani industriali, oramai semestrali, di molti gruppi bancari destano molte perplessità.
L’insicurezza, però, dipende anche dalla profonda trasformazione che il tyche, prima con la crisi pandemica e successivamente dal conflitto Ucraino, hanno portato.
Nuove professioni che anche nel settore si stanno prepotentemente facendo spazio, e un nuovo modo di fare banca che ad oggi necessita di una particolare attenzione.
Se poniamo l’accento sul cambiamento delle retribuzioni e del relativo potere d’acquisto, ci accorgiamo che, secondo una recente indagine dell’OCSE, i salari in Italia negli ultimi vent’anni sono scesi del 2,9%, mentre in Francia e Germania sono saliti del 30%, negli Stati Uniti quasi del 50%.
Trasformazioni sì, ma dei salari!
Con l’aumento dell’inflazione, che nell’ultimo anno è cresciuta vertiginosamente, agli italiani è stata imposta una tassa occulta che pagheremo nei prossimi anni.
Si è creato quindi un solco sociale all’interno del paese, trasformando il ceto medio nei “nuovi poveri”. La genesi del dramma italiano si consuma con l’abolizione nel 1992 della scala mobile dal governo Amato, meccanismo che adeguava automaticamente il salario all’inflazione. Da quella data in poi la contrattazione collettiva riveste, in ogni categoria, un elemento strategico e indispensabile per i lavoratori.
Tuttavia, all’interno di questo solco, ne esiste addirittura un altro, più profondo che vede una sottocategoria maggiormente penalizzata: i giovani.
Giovane e dipendente è sinonimo di precariato, di lavoro nero, di mancata affermazione sociale e di mancato riconoscimento dei diritti e della dignità.
Nel dialogo sociale i giovani dovrebbero garantire autenticità e franchezza proprio perché privi di stereotipi. Invece, troppo spesso anche per fragilità contrattuali, i giovani tendono ad assistere più che a partecipare, con apatica indifferenza.
Fortunatamente il settore del credito rappresenta un’eccezione, per quanto concerne salari e giovani.
Siamo infatti riusciti, grazie ad uno straordinario lavoro della Fabi e delle altre organizzazioni sindacali, a veder riconosciuto per ogni tornata contrattuale degli aumenti significativi del salario medio. L’attenzione che abbiamo riposto nelle nuove generazioni è stata tangibile. Infatti, con l’eliminazione dell’ex art. 46 abbiamo garantito pari dignità al lavoro dei nuovi assunti.
Nel prossimo futuro saremo chiamati a rinnovare il contratto di circa 280 mila bancari, fra cui molti giovani che oggi e nei prossimi anni entreranno nel settore. Questo significa che sarà necessaria particolare attenzione al cambiamento digitale in atto, che influenzerà i mestieri del futuro.
La sensazione di non avere un destino per noi è forte, cosi come l’incertezza sul futuro.
A differenza di chi ci ha preceduto, sappiamo solo che, il mestiere che svolgiamo oggi sarà diverso da quello di domani.
Tutto sembra portare ad una generazione senza destino, in balìa degli eventi e del caso, che però non può vederci inermi, e che necessità di nuove forme di partecipazione e di un ascolto attivo.
Non sappiamo quanto i nostri sforzi serviranno, ma ci fa piacere pensare che, come sosteneva Anthony Robbins, “Il nostro destino viene formato dai nostri pensieri e dalle nostre azioni. Non possiamo cambiare il vento ma possiamo orientare le vele”.