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Alla ricerca di verità dietro i luoghi comuni

Ho sempre pensato che la verità si cela in una maniera molto abile dietro stati di fatto o elementi apparentemente definiti e dati per certi e conosciuti. Cercare la verità è quell’abilità che forse permette a tutti noi di capire veramente le distorsioni e cambiare il senso delle cose.

Negli ultimi anni, nel mondo politico così come in quello aziendale e produttivo, abbiamo assistito a una forte inflazione di teorie del gender, del macro-tema della diversity e inclusion. Parte di questo mondo e fulcro di teorie e discussioni è il tema delle pari opportunità uomo-donna nel mondo professionale.

Il faro ormai è puntato, e, chiariamo bene, è un faro che sicuramente deve essere e restare acceso.

Perché il problema delle diverse opportunità tra uomo e donna esiste, è tangibile, e ancora non è risolto.

Ora però permettetemi di dire che uno sguardo attento non può banalizzare la diatriba davvero su una questione di gender, perché dietro esiste altro. Esiste una mentalità manageriale ancora miope. Ma non miope solo verso le donne.

Cieca verso tutti coloro che, pur volendo far carriera, affermano il loro diritto di essere anche “altro” rispetto a un semplice prestatore di servizi professionali.

Secondo il mio punto di vista il fulcro del problema, il motivo che relega le donne ancora in posizioni subalterne rispetto agli uomini è da rintracciare nella “disponibilità” di tempo e risorse che queste possono dedicare al lavoro. Ma questo succede anche agli uomini, o perlomeno ad alcuni uomini.

Il patto che va fatto per rivendicare la propria carriera è costituito da vincoli, non conosce alternative se non una totale disponibilità. Chi non accetta questo patto, rimane molto probabilmente tagliato da percorsi di sviluppo. E questo sia che indossi un pantalone, così come una gonna. E se nel tempo la donna è stata quella che ha fatto

sempre un passo indietro, oggi per fortuna non è più sempre così.

Non è più così perché la società fortunatamente è cambiata, perché non esistono più lavori e compiti da madr, e attitudini e faccende da padre.

La cura della casa, le faccende domestiche, la cura dei figli stessi, è ormai appannaggio di entrambi, anche perché è l’uomo che è diverso da quello di 20-30 anni fa.

Quella che deve cambiare invece è la mentalità manageriale di dirigenti che millantano teorie di worklife balance, ma che in fondo non ci credono. Così va avanti solo chi non fa “pesare” la propria vita fuori dai contesti di lavoro.

No, è questa la mentalità che va cambiata. Un applauso quindi a tutti quegli uomini che rivendicano il loro ruolo genitoriale di padre, non accontentandosi di essere un surrogato della madre.

Applausi ai padri che non si fanno problemi a dire ai propri responsabili che alla riunione non possono partecipare perché devono portare il figlio dal medico o partecipare alla riunione di classe.

Sono proprio questi uomini che porteranno inevitabilmente ad una eguaglianza di diritti e di possibilità. A un patto però. Che il mondo aziendale sia disposto a valorizzare e far crescere anche chi non può e non vuol dare la sua disponibilità h24.

Vedrete, quel giorno non si dovrà parlare più di gender.

Lo chiamerei “Diritto alla propria realizzazione di essere umano”. 

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