Ogni anno mi capita di salutare tanti colleghi e amici che scelgono (o vengono incentivati a scegliere) di fuoriuscire anticipatamente dal mondo del lavoro attraverso l’adesione volontaria al fondo esuberi .
Congedarsi dal datore di lavoro non è semplice, perlomeno non lo è per tutti.
Se qualcuno, infatti, arriva alla prossimità della maturazione del requisito pensionistico stanco e sfinito e, non vede l’ora di godersi la vita, per altri le cose sono diverse sentendosi ancora parte di un sistema, di un gruppo e magari sentendosi ancora portatore di esperienze utili se messe a disposizione.
Alcuni pur festeggiando la fine di una carriera, durata tanti decenni che ha portato loro momenti di grande soddisfazione, vivono questo momento come una rottura, una sorta di vero e proprio shock.
Altri, invece, avendo vissuto diversi periodi stressanti nell’acro della lora attività lavorativa vivono l’uscita dal mondo del lavoro in modo estremamente positivo, come una vera e propria sorta di liberazione.
Ma l’assioma è che le cose hanno sempre un principio ed una fine, indipendentemente da ciò che vogliamo o crediamo.
La vita stessa detta queste ferree regole e anche il mondo del lavoro non ne è esentato.
Le aziende mutano velocemente, hanno sempre bisogno di nuove idee e prodotti per rimanere solide sul mercato e conseguire utili.
Anche a livello economico fiscale, è conveniente per i datori di lavoro assumere giovani (magari con alto know out tecnologico) concludendo rapporti di lavoro prossimi alla maturazione dei requisiti pensionistici.
Per chi, come me, esercita l’attività sindacale, per chi è rappresentante dei lavoratori assistere al termine di un percorso professionale altrui suscita sentimenti contrastanti al pari delle due categorie di lavoratori citati.
Da un lato è bello vedere i nostri assistiti e amici felici di coronare il loro progetto di vita liberi da tutti gli oneri lavorativi, di contro dispiace perché siamo legati alle persone che, per tanti anni, abbiamo incontrato e con cui abbiamo condiviso molte esperienze, nel bene e nel male.
Qualche anno fa, mi capitò tra le mani il romanzo più conosciuto e famoso dello scrittore americano Raymond Chandler, The Long Goodbye.
Sebbene trattasse di temi polizieschi e di investigazione, mi colpì la storia del protagonista, ‘’Philipp Marlowe’’, l’investigatore che vagava per Los Angeles e si spostava in macchina per cercare di risolvere problemi non suoi ma che poi lo diventavano, puntualmente.
In un qualche modo mi ricordava me stesso.
A tutti i colleghi che ho incontrato e che ora hanno concluso la loro vita lavorativa, lascio la citazione finale del libro: «…Arrivederci, amigo. Non vi dico addio. Vi dissi addio quando significava qualcosa. Vi dissi addio quando ero triste, in un momento di solitudine e quando sembrava definitivo»
Aggiungo anche grazie ed in bocca al lupo a tutti voi.