Chissà quante volte nella vita vi sarà capitato di sentirvi sotto pressione.
Magari prima di un esame o di una prova avete vissuto quella strana sensazione che inevitabilmente condiziona il vostro operato. Quella sensazione di disagio viene comunemente chiamata anche stress.
Non è un caso, infatti, che l’etimologia della parola stress significa letteralmente “compresso”. Esistono diverse forme e soprattutto diverse percezioni dello stress, che conseguentemente provocano delle reazioni differenti e non in tutti i casi negative. Esiste, infatti, l’Eustress, termine coniato dall’endocrinologo Hans Selye, che rappresenta come lo stress possa anche avere una connotazione positiva per chi riesce a migliorare le proprie prestazioni a seguito di un sovraffaticamento.
Ovviamente non sempre è cosi, sentirsi sotto pressione spesso provoca ansia da risultato o semplicemente la paura di non essere all’altezza. Ma cosa determina le differenti reazioni?
Le cause sono moltissime ma sicuramente tempi e modi, come sempre, fanno la differenza. Se chi legge è un bancario, conosce bene quello che scriviamo in queste righe perché ha vissuto gli ultimi anni della sua vita lavorativa costantemente sotto pressione. Non parliamo solamente di pressioni commerciali, sarebbe fin troppo banale farlo. Chi lavora in banca oggi è costantemente oberato da adempimenti amministrativi, riunioni, collegamenti skype, e-mail, telefonate, per non parlare della burocratizzazione dei processi e, ovviamente, delle vendite di prodotti.
Secondo una ricerca della Sapienza di Roma, l’82% degli impiegati bancari soffre di ansia e il 28% fa uso di psicofarmaci. Numeri altissimi che fanno capire come il nostro mestiere negli anni sia cambiato.
Il capitalismo finanziario e i nuovi piani industriali di molte banche, incentrati sulla vendita di prodotti finanziari e di tutela, hanno creato una corsa al risultato nel breve termine, incuranti delle reali esigenze della clientela. Per questo motivo il settore ha subito enormi cambiamenti e con esso la vita di chi vi lavora dentro. Le prevaricazioni di molti manager sono all’ordine del giorno, “fare budget” è la parola che risuona costantemente in ogni riunione e, quindi, la lavoratrice ed il lavoratore si ritrovano tra l’incudine e il martello.
L’esacerbarsi di queste indebite pressioni, con buona pace della Mifid II, ha incentivato il fenomeno del risparmio tradito, venuto spesso alla ribalta della cronaca negli ultimi anni. Diventa indispensabile, quindi, il rafforzamento degli strumenti e delle politiche di vigilanza a tutela sia delle lavoratrici e dei lavoratori del settore sia dei risparmiatori, che ricordiamo in Italia rappresentano una fetta importante di clientela.
Tale problematica è talmente importante e sentita dalla FABI che, nel maggio dello scorso anno, è stata anche portata all’attenzione del Parlamento dal nostro Segretario Generale e, nel successivo mese di ottobre, la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario ha pubblicato la sua relazione finale, riprendendo alcune importanti indicazioni proprio della FABI. Da non trascurare, inoltre, l’importante punto inserito in piattaforma inerente proprio le pressioni commerciali, che mira a ridurre i rischi per la clientela derivanti dalle pressioni esercitate dai vertici dei vari istituti di credito su propri dipendenti.
Si richiede, infatti, di rendere più vincolante il meccanismo di confronto sulle politiche di vendita dei prodotti finanziari ed assicurativi, vietando, nel contempo, tabelle e analisi comparative riguardo ai risultati commerciali e previsionali di vendita.
Oltre a quanto scritto, come FABI abbiamo anche posto il tema all’attenzione dell’opinione pubblica.
Il modo di fare banca oggi, con le relative pressioni, si ripercuote inevitabilmente sulla collettività. Diciamo che, oggi, un po’ tutti si sentono sotto pressione, chi per paura di non farcela e chi per la paura di perdere i risparmi di una vita.
In molti gruppi bancari, la FABI insieme con le altre organizzazioni sindacali, ha siglato accordi sulle corrette politiche commerciali, ma evidentemente questo non basta.
Probabilmente, servirebbe un cambio di paradigma, un nuovo modo di fare banca e una presa di coscienza da parte di tutti. Nei prossimi anni saremo chiamati, tra i molteplici impegni, ad un duro lavoro: far rispettare gli impegni presi ai tavoli negoziali, cosa che negli ultimi anni non sembra essere così scontato.
Molti bancari oggi vivono male il rapporto con il proprio lavoro e questo, per noi che ben conosciamo il settore, non rappresenta una novità viste le molte dimissioni volontarie a favore di altri mestieri, fenomeno sul quale sarebbe opportuno mantenere sempre viva l’attenzione.
Come direbbe il buon Lubrano “la domanda sorge spontanea”: è ancora così attrattivo il lavoro in banca? Ad un giovane lo consigliereste? Lascio a voi le considerazioni del caso.
Under pressure è diventato ormai il “mood” del momento e chi non si abitua rischia di essere considerato un “boomer”. Qualcuno crea la “corazza” quale forma di autodifesa, altri non lo accettano e scappano via.
L’unico consiglio che ci sentiamo di dare, come sosteneva Joe Maddon, è che “non bisogna lasciare mai che la pressione superi il piacere”.