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a cura del Coordinamento FABI Giovani - giovani@fabi.it
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Nubi all’orizzonte

Secondo recenti studi dell’OCSE per un giovane che inizia a lavorare oggi in Italia, l’età pensionabile non sarò prima dei 71 anni e con un assegno decisamente più basso. Oggi l’età media in cui si va in pensione nei paesi europei è 64,3 anni per gli uomini e 63,5 anni e per le donne.

In Italia, invece, è fissata a 67 l’età per la pensione di vecchiaia stabilita in base alle variazioni dell’aspettativa di vita media.

Ma quando è giusto andare in pensione? Probabilmente è una domanda alla quale oggi è difficile dare una risposta perché bisognerebbe avere molte informazioni sociali, economiche e culturali del nostro paese. Sicuramente incide notevolmente il trend sull’aspettativa di vita, che negli ultimi anni ha subito delle modifiche per via della pandemia.

È necessario poi fare un’altra considerazione relativamente alla sostenibilità del sistema pensionistico italiano. Nel nostro paese la spesa pensionistica è pari a circa il 16% del PIL, dato che risulta essere fra i più alti d’Europa. Oggi in Italia ci sono 23 milioni di lavoratori e 16,5 milioni di pensionati. Il rapporto è di 1,4 e, secondo i demografi, nel 2050 sarà di 1 ad 1. Ciò significa che ogni lavoratore con i suoi contributi dovrà pagare per intero l’assegno di un pensionato.

A questo si aggiunge il problema della denatalità nel nostro paese, che colleziona record negativi anche in questo campo.

Poi è necessario riflettere sui giovani. Accedono al mercato del lavoro con molto ritardo, e la loro vita lavorativa è caratterizzata da precariato, retribuzioni basse e poche prospettive di crescita. A tutto questo si aggiunge un gender pay gap importante che solo oggi inizia ad essere per qualche azienda oggetto di riflessione. Insomma, se guardiamo l’orizzonte il cielo non è per nulla sereno, si vedono chiaramente nuvole che non promettono nulla di buono.

È inutile dire che il nostro futuro dipende da scelte che il sistema dovrebbe fare oggi per garantire serenità alle generazioni che verranno. Servirebbe un serio programma di politiche sociali che generi lavoro e quindi ricchezza, altrimenti perché un giovane dovrebbe rimanere in Italia?

Nel settore del credito abbiamo iniziato da tempo un percorso di potenziamento delle forme di previdenza complementare aumentando, per il tramite della contrattazione collettiva, la contribuzione aziendale e inserendo diverse forme di incentivi per i giovani neoassunti.

Da diversi anni per noi è diventato necessario rendere attrattivo un settore in costante depauperamento: costruire il futuro, ma anche informare i giovani che non sarà come quello che immaginavano da piccoli. La dinamicità che il mondo del lavoro ha oggi ci impone delle riflessioni su percorsi di crescita professionale, job rotation e nuovi mestieri derivanti dalla digitalizzazione, che devono valorizzare al meglio le giovani professionalità.

È innegabile che una buona e sana occupazione unita a politiche economiche volte a garantire stabilità ai giovani sarebbero un volano importantissimo per costruire nei prossimi anni un mercato del lavoro solido e appetibile per i giovani che provengono da tutto il mondo.

È anche per questo che nella piattaforma rivendicativa del CCNL di settore la FABI, insieme alle altre Organizzazioni sindacali, ha richiesto che venga ridotto l’orario di lavoro settimanale, in linea con quello che succede in altri settori produttivi, sia in Italia sia in Europa.

“Lavorare meno, lavorare tutti”, ed ecco che torna subito di moda lo slogan in un paese con la media di ore settimanali tra le più alte in Europa. Inevitabilmente si creerebbe nuova occupazione in un settore ormai vittima della riduzione dei costi. Il ruolo sociale delle banche dovrebbe ripartire dal territorio e la politica dovrebbe riprendere la funzione di garante in un sistema che inevitabilmente, senza interventi seri, rischierà di implodere.

Le nuvole, che oggi sembrano lontane e che guardiamo senza troppa preoccupazione, prima o poi arriveranno e quando saranno troppo vicine la virata non sarà più sufficiente per evitare che la buriana ci travolga.

Il sole che ancora oggi vediamo deriva da scelte di una classe politica, quella di molti anni fa, lungimirante e avveduta, capace di rilanciare il paese tramite l’unico strumento che conosciamo: il lavoro.

Evitare le nuvole non solo ci mette al sicuro da possibili tempeste, ma ci consentirà di guardare il sole e di lasciarlo alle future generazioni cosi come lo abbiamo ereditato noi.

Anche perché come sostiene Eckhart Tolle “anche quando il cielo è coperto, il sole non è sparito, è ancora lì dall’altra parte delle nuvole”, quindi basterebbe rimanere nella giusta direzione per continuare a guardarlo.

Alessandro De Riccardis
Alessandro De Riccardis
Coordinatore Nazionale FABI Giovani
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