Certo, il vento per definizione muove qualcosa, a volte oggetti, altre idee. Fin dall’antichità ha avuto un ruolo significativo anche nella navigazione, permettendo all’uomo di venire a contatto con culture diverse e scoprire nuove terre. Insomma, l’emblema del cambiamento.
Negli ultimi anni nel settore del credito ha soffiato forte il vento della trasformazione. Il vento della digitalizzazione, quello dei nuovi mestieri e quello dello smart working… ma se potessimo scegliere un vento che di più assomiglia a quello che abbiamo e stiamo attraversando, sicuramente sceglieremmo il Downburst.
Termine inglese che definisce “un fenomeno meteorologico consistente in forti raffiche di vento discensionali, una colonna d’aria in discesa veloce…”, come recita Wikipedia.
Il parallelismo è presto fatto: un forte cambiamento che proviene dall’alto e che proprio come il downburst appunto, non dipende da noi. Esattamente come gli avvenimenti che ci hanno investito, il downburst è impossibile da prevedere per la sua natura repentina e, quindi, sconosciuta.
Il cambiamento , tuttavia, quando viene imposto e non voluto assume una connotazione diversa, spesso difficile da metabolizzare e, quindi, da affrontare, ed il rischio che si corre è che ci si ponga con atteggiamento di chiusura.
Negli ultimi anni siamo stati investiti da un downburst particolare, con il quale, volenti o nolenti, dovremo fare i conti nei prossimi anni e che potrebbe rappresentare in futuro una minaccia esistenziale per le banche tradizionali ed ha un nome, anzi un acronimo: GAFAM.
Le strategie industriali dei big del digitale come Amazon, Facebook e Google che si sono affacciate in questo nuovo mondo, provando a fare banca in maniera diversa ma comunque efficace, preoccupa e non poco gli AD del settore che iniziano, forse in ritardo, a correre ai ripari.
L’esperienza consolidata dai colossi d’oltre oceano nella gestione dei big data, degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale non ha eguali nel vecchio continente e, si sa, nell’era della comunicazione l’informazione è un bene troppo prezioso. Come potremmo difenderci? Quale strategia adottare?
Forse l’errore da non commettere è quello di combattere una partita nel loro campo, dove appunto l’esperienza e le enormi risorse economiche dei nuovi competitors non ci lascerebbero scampo. L’ambito nel quale invece le banche tradizionali continuano ad avere un vantaggio competitivo è quello della consulenza, della conoscenza del territorio e delle alte professionalità, qualità che non si possono costruire in un giorno.
È necessario, quindi, un cambio di paradigma, un nuovo modo di vedere le cose come quello proposto dalla FABI e dalle altre organizzazioni sindacali nella conversione del personale e nella ricerca di nuovi mestieri, che mettano sempre al centro la persona. Se volessimo mettere numeri, dati, algoritmi al centro del nostro modello di banca saremmo, inevitabilmente, perdenti. Alla stessa maniera diventa necessario fare alcune considerazioni sulle dimissioni volontarie nel settore, che si tramutano in dispendio di risorse formative spesso a favore dei competitors.
Anche perché Millennials e Generazione Z non solo iniziano a diventare una fetta importante della clientela (e degli stessi dipendenti bancari), ma risultano essere anche la parte della popolazione più bancarizzata. Tra l’altro, come emerso da recenti ricerche empiriche, le nuove generazioni preferiscono avere un rapporto bancario snello ed easy con i siti di e-commerce piuttosto che con la banca tradizionale, propendendo facilmente a cambiare istituto di credito nei prossimi anni… Alla faccia della fidelizzazione!
In questo contesto, fattori come un alto tasso di specializzazione, una pianificazione finanziaria attenta e puntuale, soprattutto sotto il profilo etico, potrebbero rappresentare un deterrente solo se associati ad uno specifico percorso formativo e a politiche di employee retention ormai indispensabili per blindare il patrimonio culturale aziendale e sul quale il settore dovrebbe investire per provare ad essere attrattivo con le nuove generazioni e per evitare che il downburst ci travolga di nuovo.
Sicuramente sarà importante osservare il comportamento del cliente, avvalendosi dell’utilizzo della tecnologia, ma quello che fa la differenza è l’ascolto empatico che nessun algoritmo potrà mai sostituire. Puntare ad una umana digitalizzazione sarebbe innovativo e vincente, unitamente alla vicinanza al territorio e alla clientela che continua ad essere il bene prezioso dal quale non possiamo disaffezionarci.
Anche se non sappiamo quale sarà in futuro il prossimo vento che inaspettatamente ci travolgerà, dobbiamo essere coscienti che è una delle più grandi fonti di energia naturale che abbiamo e che possiamo imparare ad ascoltare e indirizzare, perché come recita un vecchio proverbio sanscrito “La terra ha orecchie, il vento ha una voce”