Qualche giorno fa un’azienda, del settore bancario, è stata premiata in tema smart working.
La riprogettazione dello spazio e delle modalità del lavoro agile le hanno consentito di ottenere il premio e, durante questa fase storica così particolare, di agevolare il lavoro e limitare gli spostamenti dei dipendenti stessi.
Abbiamo parlato con decine e decine di lavoratori bancari, molti dei quali sono in modalità agile da inizio marzo 2020.
Questi colleghi non prendono l’auto e non vanno fisicamente in ufficio ormai da inizio anno. Tutto viene svolto da casa.
Una parte di essi è contenta poiché risparmia tempo, carburante e sicuramente non accusa lo stress del viaggio, con traffico, rischio incidenti e altri problemi connessi.
Fin qui sembra tutto idilliaco e trasparente: ci vuole un premio per forza. Ma l’azienda ha fatto un sondaggio a tutta la popolazione aziendale per chiederle un parere?
Chi lavora in filiale ad esempio, dal cassiere al gestore, non ha fatto quasi nemmeno un giorno di lavoro agile, anzi è stato in prima linea ed esposto a tutto il rischio legato a pandemia, rischio professionale e pressioni commerciali, ovviamente.
Per queste persone ci sarà un premio alla fine della giostra? La pacca sulla spalla non basta, anzi, inizia ad infastidire, così come le belle parole e/o i messaggi.
Per contro, altri lavoratori di uffici centrali ci riferiscono che dopo così tanti mesi trascorsi lavorando da casa, perdono un po’ il senso di appartenenza aziendale, la socialità coi colleghi, viene a mancare il caffè in sala ristoro e si percepisce un maggiore distacco con l’ufficio di provenienza.
Altri ancora fanno notare che oltre a non percepire più il buono pasto (che per alcuni è una percentuale significativa del trattamento economico) non si ha più la possibilità di condividere le frustrazioni o le soddisfazioni con i colleghi.
Normalmente in ufficio si parla durante le pause e si socializza, si conoscono meglio i colleghi e non sono rari i casi di consolidata amicizia, iniziata proprio sul luogo di lavoro.
Già, il luogo di lavoro: l’azienda.
Può capitare che una persona non abbia ancora messo piede in banca.
Dal colloquio di assunzione fino ad oggi, in 9 mesi quindi, non si vede nessun collega dal vivo e nemmeno dove è ubicata fisicamente la propria sede di lavoro.
Si inizia a lavorare da soli, comunicando e ricevendo la formazione tutto il tempo tramite le video, messaggi, e audio su whatsapp.
Qualcuno sta pensando di tornare a studiare, almeno così gli esami si va a farli di persona.
La città si è privata di migliaia di lavoratori e, quindi, di consumatori, di persone che la vivono e si confrontano.
Prima di entrare in ufficio si passava dall’edicola, magari dal bar. La colazione delle 10 era un rito irrinunciabile, che serviva anche per scaricare la tensione e vedere altra gente. Il pranzo fuori e la passeggiata per rientrare mancano a molti.
Manca anche guardare le vetrine la sera, prima di tornare alla propria abitazione.
Manca l’aperitivo ogni tanto, quello che si fa chiamando il capo, magari facendoselo pagare e ridere un po’ sulle vicissitudini della giornata.
Manca ridere ecco cos’altro manca.
Manca vedere le luci dei negozi che adesso hanno il cartello vendesi-affittasi.
Lavorare da casa è un risparmio per alcuni, ma senza dubbio lo è per l’azienda.
I soldi per le trasferte, ticket pasto, corsi, hotel, wi-fi, climatizzazione o riscaldamento, energia elettrica non vengono più spesi.
Facciamo quello che è giusto, da lavoratori e cittadini, siamo responsabili e rispettosi del momento delicatissimo che stiamo vivendo.
A noi del premio smart working non importa nulla.
Nemmeno dei messaggi di ringraziamento.
Ci diciamo che le cose andranno meglio, sui balconi abbiamo rimesso le bandiere e abbiamo la casa piena di addobbi natalizi, ma non ci scordiamo di questi mesi.
La felicità è tale solo se condivisa.
Magari anche con i premi…