giovedì, Maggio 1, 2025
No menu items!
FABI
a cura del Coordinamento FABI Giovani - giovani@fabi.it
HomeEditorialeTecno Fobia

Tecno Fobia

Fra i disturbi psichici più frequenti nell’essere umano troviamo sicuramente le fobie

Milioni di persone in tutto il mondo hanno paura di qualcosa che, irrazionalmente, determina uno stato d’ansia. Il dizionario Treccani descrive la fobia come una paura che “pur essendo riconosciuta come irragionevole, non può essere dominata”

Spesso le fobie sono determinate dalla poca conoscenza del fenomeno, infatti, un metodo per combatterle è sicuramente quello della conoscenza e dello studio, che, fugando ogni dubbio potrebbe alleviare quella strana sensazione che tutti noi almeno una volta abbiamo provato. Come tutto il mondo che ci circonda anche le paure cambiano e molte di quelle che abbiamo oggi non esistevano anni fa.

Ecco che scopriamo negli ultimi decenni la tecnofobia che, tradotta, significa la paura delle nuove tecnologie e dell’innovazione digitale.

Conosciuta per la prima volta negli anni ’70, periodo in cui l’evoluzione industriale ebbe un enorme slancio, continua ad essere un tema caldo anche nel terzo millennio. Sebbene potesse sembrare una fobia dimenticata e ultimamente poco conosciuta, ecco che negli ultimi anni, a causa della violenta evoluzione digitale che abbiamo subito in seguito alla pandemia, ritorna ad essere un fenomeno diffuso, non solo tra le vecchie generazioni, ma anche fra i giovani.

Larry Rosen nel 1993 definisce tre tipologie di tecnofobici: coloro che non si trovano a loro agio con le tecnologie; coloro che pensano di avere scarse capacita e questo incide sulle loro prestazioni; e coloro che al solo pensiero di usare una nuova tecnologia sperimentano uno stato ansiogeno. Tutte le principali aziende italiane hanno iniziato da tempo una sfrenata rincorsa alla digitalizzazione, compresa l’industria bancaria.

Allo stress da lavoro correlato che tutti noi conosciamo, si è aggiunto per molti quello derivante dalla tecnofobia che si traduce spesso nella paura di non essere all’altezza del cambiamento. Sintetizzando, potremmo dire che tempi e spazi di lavoro sono cambiati. Lavoro agile ma anche un incremento sostanziale di turnisti hanno modificato l’approccio del nuovo impiegato in banca. Il diritto alla disconnessione, sancito nell’ultima contrattazione collettiva nazionale dalla FABI e dalle altre organizzazioni sindacali, è stata una lungimirante scelta fatta tre anni fa, immaginando nuovi mestieri ed un nuovo modo di fare banca. Lo step successivo ed assolutamente necessario sarà quello di studiare le conseguenze che quest’onda di innovazione ha portato nel settore del credito. Proprio per questo è stata creata una cabina di regia sulla digitalizzazione che dovrà valutare gli enormi impatti economici, morali e psicofisici, che il settore e i lavoratori bancari stanno subendo. L’aumento spropositato della fintech ha sicuramente contributo ad una nuova forma di tecnofobia, quella più comune, che in fondo abbiamo sempre avuto un po’ tutti: la paura che ci sarebbe stato un giorno in cui le macchine avrebbero sostituito gli uomini anche nelle fasi dominanti e decisionali dei processi. Eccoci arrivati.

E se tutto questo potrebbe in qualche modo aiutare a diminuire il costo del personale e, quindi, a remunerare meglio il capitale, il gioco è fatto. Con buona pace dei livelli occupazionali. I big data sono diventati l’oracolo da seguire, il sarto che cuce “su misura” lo strumento finanziario per la maggior parte dei clienti. Ma esiste un problema molto più ampio: questa grande trasformazione digitale sottrae alle banche il ruolo politico-economico che hanno sempre avuto nel Paese, concedendo fette importanti di mercato a multinazionali che si dirigono, a vele spiegate, nel nostro settore. Racconti continui che evidenziano la disattenzione nei confronti dell’essere umano. Ma c’è chi non accetta questo tipo di approccio ultra digitale e vive con profondo senso di frustrazione lo svilimento della professione.

L’idea di rimanere ancorati al passato non ci è mai piaciuta, abbiamo sempre guardato con coraggio al futuro, non pretendendo di cambiare il mondo, ma cercando di indirizzare il settore verso un’equa distribuzione della ricchezza e, soprattutto, dei diritti.

Primo passo necessario sarebbe quello di applicare il CCNL di settore a tutte le realtà che, in qualche maniera, fanno banca. La deumanizzazione del settore sta riducendo notevolmente l’identità e il senso di appartenenza, oltre all’approccio empatico proprio di chi lavora fra la gente. L’errata convinzione che la parola progresso sia sinonimo di digitale è uno degli stereotipi più in voga nelle nuove generazioni.

Perché non possiamo andare avanti senza dimenticare il passato? Sarebbe un esercizio utile a chi governa i processi di cambiamento, d’altronde come sosteneva Alessandro Manzoni “non sempre ciò che viene dopo è progresso!”.

Alessandro De Riccardis
Alessandro De Riccardis
Coordinatore Nazionale FABI Giovani
ALTRI ARTICOLI
FABI
FABI

I PIU' LETTI

FABI